Ma non sarebbe più opportuno incontrarci in piazza S.Spirito o in S.Ambrogio a Firenze invece di continuare a parlare nelle piazze virtuali? I buoni sono davvero buoni su Facebook, e i cattivi sono così come li vediamo? Sono domande che meriterebbero una risposta, ma le avremo? Probabilmente no, non lo sapremo mai, soprattutto se rimaniamo davanti a un tablet a giudicare la vita degli altri da un punto di vista non empatico e completamente asettico.
Quante volte al giorno controlliamo il telefono? È Instagram che ti avvisa che hai 250 Mi piace sul tuo selfie anziché 249? È quella chat di gruppo di Facebook che discute sempre di politica? O è quella pagina di notizie che riporta il tragico evento di un’altra sparatoria di massa che colpisce la paura nei nostri cuori? Negli ultimi due decenni, i social media si sono sviluppati a un ritmo allarmante, aggiornandosi costantemente per consentire il modo più rapido per diffondere le informazioni. Oggi abbiamo accesso illimitato a ogni database, sito Web e profilo personalizzato con la semplice pressione di un pulsante. Non pensavi che questo tipo di potere avesse un prezzo? Sfortunatamente, lo ha.
Ogni essere umano possiede un tratto chiamato empatia che gli consente di spiegare i sentimenti, le emozioni o le esperienze di un’altra persona. Senza empatia, sarebbe difficile sostenere una comunità di successo perché la comunicazione, la cooperazione, l’amore e la compassione non esisterebbero. È un tratto vitale per l’umanità; eppure sembra soffrire dall’emergere della tecnologia. Gli studi dimostrano che la tecnologia e i social media ostacolano l’empatia negli esseri umani, creando una generazione di persone che hanno difficoltà a mettersi nei panni dell’altro.
I social media hanno reso la creazione di connessioni con persone di tutto il mondo più facile e fattibile che mai. È facile pensare che queste nuove connessioni consentirebbero di comprenderci meglio l’un l’altro ma sembrano avere l’effetto opposto. Allora in che modo i social media impediscono l’empatia? Ci sono alcuni motivi che rispondono a questa domanda:
C’è una disposizione naturale negli esseri umani a voler essere “giusti”. I social media possono effettivamente basarsi su questa sensazione attraverso un pregiudizio di conferma. Il bias di conferma è definito come un modo di elaborare le informazioni attraverso i gruppi e le persone le cui convinzioni coincidono con le tue. È stato osservato che gli esseri umani sono generalmente più empatici e comprensivi quando conversano faccia a faccia con un altro individuo. In questo ambiente non c’è pressione per compiacere un grande gruppo di persone e le idee vengono scambiate civilmente. Tuttavia, secondo Emily Bruneau, neuroscienziata del MIT, l’empatia spesso vacilla quando questi individui si identificano con un gruppo che sostiene una certa ideologia e convinzione. Questo è comune sui social media dove le persone cercano costantemente conferme. Una volta trovata tale conferma all’interno di un ampio bacino di utenti, diventa facile demonizzare altri gruppi che non rispettano le proprie convinzioni. Ciò promuove una discussione costante online in cui non è possibile fare progressi a causa della mancanza di empatia.
Vivendo in una società socialmente onesta, viene esercitata una pressione sugli individui per lottare per la perfezione. Per decenni la società ha creato aspettative irrealistiche sull’immagine perfetta che coinvolge fattori come la bellezza, il successo, l’intelligenza e le relazioni. Sebbene sia noto che la maggior parte di questi fattori sono esagerati e modificati alla perfezione, gli esseri umani si confrontano ancora con gli altri per la convalida. Con l’aggiunta dei social media, la necessità di confronto è maggiore che mai perché gli individui stanno testimoniando la “perfezione” nell’immagine di persone che sono “proprio come loro”. Non stiamo parlando di post di modelle ben pagate o di brillanti miliardari che le persone vedono; le persone si confrontano invece con i post di compagni di classe, colleghi di lavoro, familiari e conoscenti. I social media consentono alle persone di posizionare “filtri” nelle loro vite in modo che possano mostrare la versione di se stessi con cui vogliono essere percepiti. In questo modo, l’umanità perde la sua autenticità e improvvisamente tutto ciò che fa un individuo non è abbastanza buono se il post di qualcun altro implica che stanno facendo meglio. All’umanità manca il conforto del fallimento e dell’imperfezione che induce gli individui a mantenere un’immagine di sé negativa.
Forse, per quanto riguarda i social media, a volte è saggio fare un passo indietro. Può essere utile disconnettersi per alcune ore e sintonizzarsi su ciò che sta accadendo proprio di fronte a te. In questo modo, diventa possibile avere interazioni genuine con chi ti circonda, permettendoti di ascoltare, capire, essere ascoltato e costruire sull’empatia. I buoni sui social non sono così buoni e i cattivi non sono così cattivi. La realtà sta fuori a uno smartphone. Noi abbiamo sede alle Piagge a Firenze, basta uscire…per vivere o per percepire una realtà non filtrata da interpretazioni o da censure più o meno giustificate. E’ di ieri la notizia che Facebook potrebbe chiudere, ce ne faremo una ragione.
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