Un anno sembra poco rispetto alla vita frenetica alla quale siamo sottoposti, un anno passa velocemente se impegnati nel lavoro e nella famiglia. Faccio veramente fatica solo nell’immaginare, invece, come si possa vivere un anno intero in territorio di guerra. È un anno ormai dall’inizio del conflitto Russo-Ucraino, ed un anno può sembrare per chi giornalmente trema nel sentire le sirene antiaeree infinito.
Proprio vero che il tempo pare relativo se vissuto e visto da prospettive diverse. Un anno dove la fine non sembra vicina, un anno nel quale le speranze di un accordo di pace si sono andate affievolendo.
Un anno di aspettative e un anno di delusioni rispetto al ruolo dei paesi occidentali in questo conflitto, un anno di speranze e soldi spesi. Si calcola che solo l’Europa abbia investito nella “non guerra” circa 3,2 miliardi di euro l’Italia oltre 500 milioni per questa “non guerra”. Si! “non guerra”, si ricerca la pace attraverso la guerra ma la guerra fatta da altri, pregni di un senso autoassolutorio che ci pone al di sopra del conflitto stesso che ci permette tranquillamente però di schierarci senza se e senza ma. In un continuo impoverimento complessivo dei paesi del mondo dove si allarga sempre più la forbice tra ricchi e poveri si decide di investire di più sull’armamenti, la Nato ci chiede il 2% del PIL e tutti i paesi (chi più chi meno) ma tutti i paesi decidono di investire in modernità bellica, armamenti, sostanzialmente in guerra.
Un anno dove l’informazione ha fatto si che si ritenesse il termine pace un’utopia e il termine guerra un’assunzione antropologica di un comportamento ormai normale, ancor peggio necessario, la violenza come mezzo di risoluzione di conflitti umani e politici, non vi sono altre strade. Un anno che porta con sé la consapevolezza di aver fatto il meno possibile per ripristinare la normalità, un anno dove la “storia insegna ma non ha scolari”, basterebbe vedere la mappa dei conflitti dal dopoguerra ad oggi per accorgersi che le guerre vengono sempre fatte non certo perl’affermazione di diritti persi ma per l’acquisizione di poteri. Nessuna guerra è mai stata circoscritta ad un solo territorio e nessuna guerra negli ultimi 30 anni è mai finita, tutt’ora si calcolano bene 59 conflitti nel mondo.
Se poi mi è permesso vorrei ribattere su una questione culturale e non solo umanitaria, direi quasi pedagogica, se assumiamo come necessaria e anche come approccio positivo la guerra non possiamo lamentarci se nel quotidiano assistiamo a continuo aumento di violenze e soprusi, l’dea di farsi giustizia è l’idea che domina nella nostra cultura che ci porta a disinteressarsi delle disumanità a non indignarsi e non stupirsi più del male e della sofferenza.
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