Non è facile aprire una nuova rubrica, su un nuovo giornale e soprattutto così complessa. Fior fior di intellettuali scrivono e fior fior di politologhi si esprimono sull’assenza di politica e sul declino della stessa. Forse mi tornerebbe meglio parlare in una rubrica A.A.A società cercasi…., in questo caso potrei scrivere e chiunque potrebbe scrivere riferendosi al proprio vissuto al proprio trascorso. Del resto la politica non è forse, se vogliamo, parte e costruzione di una società? La politica è espressione di una società o la società è espressione della stessa? In un tourbillon di domande che mi passano nella mente, davanti al pc cerco di allontanare lo spirito di Marzullo che si è impossessato di me respiro mi libero della responsabilità che ho nell’inaugurare questa rubrica e provo a buttare qualche riflessione.Un grande personaggio del novecento avrebbe detto “grande è la confusione sotto il cielo quindi la situazione è eccellente”, questo personaggio però si riferiva ad una fase prerivoluzionaria ed io se mi guardo intorno vedo tutto fuori che una situazione rivoluzionaria. La confusione sicuramente la fa da padrona, questo periodo ancora di più confusa e difficile, siamo davanti ad un’unica certezza ovvero l’incertezza. Si ha incertezza quando poco pare chiaro e soprattutto se non possiamo in alcun modo deciderlo, viviamo nell’incertezza perché non abbiamo una prospettiva di lavoro, una casa, una rete affettiva e amicale capace di definirla tale insomma si è in qualche modo periferia. Questo quadro purtroppo aggravato negli ultimi due anni a causa della pandemia. Un periodo che forse ancora di più sta contribuendo alla mutazione antropologica in atto ormai da decenni, l’essere umano da animale sociale ad animale e stop.
La visione distopica dell’essere umano
La pandemia ha amplificato il percorso distopico dell’essere umano, da una società frammentata ed individualizzata dalla modernità liquida. La pandemia ci consegna un quadro completamente modificato e purtroppo in peggio, la pandemia colpisce duramente ed ovviamente ancora di più laddove le condizioni socio-economiche sono già precarie. All’inizio della stessa ci ripetevamo che ne saremo usciti meglio, poi ci pareva di poter vedere una fine possibile e vicina e quindi la precarietà del futuro pareva una giusta pena da scontare per un periodo circoscritto, poi si sa la paura spinge a comportamenti anche irrazionali e in quel periodo anche commoventi. Alle 18 tutti a cantare ma buttando un orecchio al necrologio alla triste conta dei morti e malati, ma via! Riempiamo il mondo di arcobaleni! Certo fin dall’inizio la straordinarietà dell’evento ha colto tutti impreparati, disorientati incapaci quasi di reagire, compresa la politica incapace di assumersi il compito di far bilanciare lo scontro tra lavoro e salute.In questo contesto si sono coniati prima obbrobri lessicali come “distanziamento sociale”, la creazione del nemico è diventata successivamente una modalità che ci ha colpito tutti, prima coloro che facevano jogging, poi i bambini che giocavano nel parco, poi coloro che portavano il cane a spasso, gli anziani a fare la spesa e via via… Tutto ciò senza un confronto, una riflessione su ciò che ci stava capitato, a reti unificate parla la scienza e questa via via acquista un ruolo mistico, dogmatico parareligioso, anche se spesso contraddittorio nelle sue lezioni. SI sono alzate da più parti inneggi alle chiusure: lavorative e sociali ponendo sempre davanti un paragone che poco lasciava a discussione: “o la morte o le chiusure” ma intanto il paese impoveriva e come era ovvio i ristori non potevano in alcun modo sostenere tutte e tutti.
I lockdown non sono tutti uguali
Fare un Lockdown in una villa al poggio imperiale non è esattamente la stessa cosa che farlo in una casa popolare a Le Piagge a Firenze, così come chiudere le scuole e mettere i ragazzi/e in DAD non rappresenta proprio il principio fondante della scuola pubblica, le possibilità non sono le stesse certo per tutti. Poi le riaperture vincolate dal possedere un lasciapassare, guardate non sto parlando in termini vax, no vax, green pass, no green pass, evitiamo almeno noi di fare i tifosi da bar dello sport, io lo faccio perché voglio capire ragionando a voce alta con voi, così come non entro in termini di necessarietà dei provvedimenti o meno ma vorrei si provasse a vedere la simbologia degli stessi, proviamo a riflettere sugli effetti sociali non solo in termini opportunistici ma come strumento politico.Il green pass o il super green pass rappresenta comunque la si pensi una novità, ed un precedente, l’idea che vi siano alcune attività sociali vincolate e soprattutto che siano queste delle concessioni, il demandare ai datori di lavoro il controllo sanitario sui propri dipendenti. Ripeto non entro nei termini usati come limitazione delle libertà, sappiamo bene che la nostra costituzione pone il tema della libertà collettiva sopra ogni cosa, non siamo in America dove la libertà private prevalgono su tutto. Ma penso che come fenomeno questo rappresenta un precedente rischioso, apre ulteriormente una frattura tra le relazioni sociali.
Un nemico individuabile, mirabile sparare
Il nemico adesso è chi non ha o non vuole il green pass, il datore di lavoro ha uno strumento di selezione del personale basato sulle condizioni sanitarie (badate bene parliamo sempre di persone sane che devono dimostrare di esserlo). Il paese pone il tema con la complicità dei mass media che chi non ha il green pass debba pagarsi il tampone e perché no anche le spese mediche, perché se ti ammali è un tuo problema ed occupi posti in ospedale ed allora paga. Allora domani mi domando se non si possa porre il tema su altre patologie, fumi hai un tumore lo sapevi è un problema tua, sei obeso hai avuto un infarto perché devo sostenere io le tue spese mediche se hai gozzovigliato per tutta la tua vita? Ecco lo sapevo adesso al lettore potrebbe rimanere il dubbio che questo giornale voglia essere una voce fuori del coro, come si usa dire, ma diciamo che vogliamo provare a guardare la stessa cosa ma da più lati, proviamo a umanizzare le discussioni o proviamo a non aver la verità in tasca, cosa rara, proviamo a stimolare una società che più non c’è perché si è persa una politica che non fa più opinione ma la rincorre, che non crea più discussione e confronto. Un giornale pessimista in base a quello che sa, ma ottimista in base a quello che vuole.
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