Ospitare un pezzo così ben dettagliato da editore del giornale è un motivo d’orgoglio. Lorenzo, ha dimostrato il suo valore in tutte le battaglie che compie nel quotidiano. Non solo come consigliere. Purtroppo, un contenuto così reale e crudo ci mette spalle al muro. Dobbiamo fare qualcosa, è un nostro dovere: lo dobbiamo a chi ha combattuto per i diritti del lavoro nel nostro Paese, a tutti i lavoratori e lo dobbiamo a tutti quelli che credono ancora in un futuro migliore.
Di LORENZO BALLERINI
Hanno lavorato per dodici ore al giorno, senza un giorno di riposo, mai. Niente ferie, niente permessi, nessuna indennità di malattia. Quando il lunedì successivo alla domenica di Pasqua, festività nazionale, si sono rifiutati di lavorare, cinque lavoratori pakistani sono stati licenziati con un messaggio WhatsApp.
È avvenuto a Campi Bisenzio, un comune toscano schiacciato tra Firenze e Prato, in una delle tante attività che compongono il noto distretto del tessile. Capannoni organizzati come veri e propri alveari, dove al loro interno lavorano centinaia di uomini e donne ridotti a schiavi, senza alcun diritto.
Un sistema quello del pronto moda che, come denunciato dal sindacato, si basa sulla vecchia storia del “apri, chiudi, apri” per aggirare fisco, controlli e quindi diritti e tutele per i lavoratori. Un sistema di “matrioske” in cui spesso è impossibile anche risalire al nome della ditta e quindi del padrone, che spesso è sempre lo stesso ma nascosto da numeri di partite IVA che cambiano al bisogno.
L’IPER-SFRUTTAMENTO: UN “CONTRATTO” ORMAI CONOSCIUTO
Un sistema che tutti conoscono, un iper-sfruttamento conosciuto e noto alla politica che però, da sempre, si è dimostrata se non distratta quanto meno inefficace con gli interventi che nel tempo, in modo discontinuo, sono stati messi in campo. Eppure, i casi di cronaca che hanno coinvolto in questi anni il distretto pratese, allargato alle periferie, sono molti e noti e arrivano fino alla scomparsa di Luana D’Orazio, morta risucchiata da una macchina volutamente manomessa per aumentarne la capacità produttiva. Nel 2013 invece, a causa di un incendio divampato in un capannone, morirono sette operai cinesi mentre dormivano negli stessi spazi in cui lavoravano e vivevano. Un fatto drammatico che mise a nudo un sistema di sfruttamento che fino a quel momento tutti conoscevano, ma nessuno voleva denunciare.
Il fallimento del “Piano Lavoro Sicuro”
Dopo questo drammatico evento la Regione Toscana ha finanziato il “Piano Lavoro Sicuro” per controllare tutte le aziende dell’area rispetto alle condizioni di salute e sicurezza, ma senza poter intervenire in nessun modo sulle condizioni contrattuali. Di fatto un buco nell’acqua che, come dimostrano i fatti di queste ore, non ha inciso in nessun modo rispetto al proliferare di casi di vero e proprio sfruttamento diffuso. In questi anni infatti, come già detto, sono molti i casi emersi: dalla “Tintoria Superlativa” dove l’Ispettorato del Lavoro ha confermato un sistema di sfruttamento consolidato, alla lotta dei lavoratori della Texprint per chiedere di lavorare otto giorni cinque ore nel rispetto dei contratti nazionali. Ma il campo di un sistema di vera e propria schiavitù non si limita al distretto pratese, ma rimane purtroppo un problema che tocca molte sacche sommerse del nostro paese. Basti pensare al fenomeno del caporalato, che si riscontra principalmente in agricoltura, ma che coinvolge diversi settori produttivi quali, in particolare, i trasporti, le costruzioni, la logistica e i servizi di cura. Un sistema anche questo che coinvolge principalmente lavoratori e lavoratrici stranieri, ma che attraversa tutto il paese da nord a sud. Secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto, infatti, sono 405 le aree caratterizzate dalla presenza di caporalato nel nostro paese, 129 delle quali localizzate al nord tra cui Veneto e Lombardia (in particolare le aree di Mantova e Brescia), Emilia Romagna, Lazio (soprattutto la provincia di Latina) e Toscana (intorno a Prato appunto) e 123 al sud (Calabria, Puglia e Sicilia). Sempre secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto, nel 2019 gli operatori dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro hanno “effettuato 5.806 accessi ispettivi in aziende appartenenti al settore di agricoltura, silvicoltura e pesca. Questi sono risultati in 5.667 accertamenti definiti, tra i quali figuravano 3.363 casi di illeciti. 58% delle ispezioni effettuate hanno evidenziato illeciti ai danni dei lavoratori agricoli”. Negli anni però “il numero di provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale adottati a seguito della rilevazione di illeciti è andato diminuendo, fino quasi a dimezzarsi. Il numero più elevato è stato registrato nel 2018 (479) ed è andato poi calando fino al 2020 (257)”. Il tentativo quindi di intervenire con efficacia attraverso l’intervento dell’Ispettorato del Lavoro, oppure con interventi non coordinati e con poca prospettiva, rischia di rilevarsi inutile. Il rapporto annuale dell’Inail denuncia come nelle aziende ispezionate nel 2020 sono stati riscontrati nell’86% dei casi lavoratori e le lavoratrici senza tutele, ma allo stesso tempo a dicembre 2020 il numero degli ispettori Inail contava solo 246 unità, un numero molto al di sotto delle reali esigenze.
Ripartiamo
È necessario allora ripartire da capo, con pratiche e strategie diverse, provando a rimettere insieme tutto quello che in questi anni si è frammentato: dallo studio del territorio e le sue trasformazioni, al ruolo della politica e del sindacato fino all’impegno di figure nuove capaci di raccogliere i bisogni dei lavoratori, a formarli e informarli. Poi sono le scelte radicali che possono fare la differenza: aziende non in regola rispetto al Testo unico sulla sicurezza (d.lgs. 81/2008) devono essere chiuse. La sfida passa allora dalla dimensione locale e territoriale, dalla capacità di rinnovare le nostre comunità anche grazie al ruolo di operatori con il compito di innescare, attraverso la partecipazione attiva, una nuova municipalità responsabile. Una comunità protagonista del proprio sviluppo locale.
Costruire reti capaci di tenere insieme un territorio nelle maglie dei diritti e delle tutele, grazie a nodi stretti tra profili diversi ma con un obiettivo comune. È una sfida che richiama tutti e tutte a un nuovo protagonismo attivo: la politica, il sindacato, la scuola, l’associazionismo, le realtà territoriali, il terzo settore.
Insieme.
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