In questo giornale ci siamo alcune volte soffermati su come la pandemia avrebbe potuto essere una grande possibilità di messa in discussione di un sistema di gestione della cosa pubblica e come in realtà poco si sia nuovamente imparato dagli errori.
La scuola così come la sanità, sono forse i due settori che più di tutti hanno messo in luce le carenze, le mancanze, le difficoltà di coloro che ci lavorano e di coloro che le utilizzano. Parole al vento si sono sprecate e dal sogno di un ipotetico PNRR capace di raddrizzare le sorti della scuola italiana e della sanità ormai allo stremo ci siamo presto svegliati rimanendo legati solo all’incubo della realtà.
In questi giorni si vanno costruendo le prossime classi per le scuole primarie e le scuole secondarie di primo grado, insomma le vecchie elementari e medie, e da più parti si sollevano insegnanti e genitori perché la priorità non è la qualità educativa, la qualità di vivibilità delle classi, la priorità sono i numeri. Gli uffici scuola regionali che fanno? Tagliano le nuove prime classi? Si parla così di nuove classi che potrebbero arrivare ad avere fino a 27 alunni! Pare quanto meno pleonastico ripetere che un basso numero di studenti per classe è sinonimo di buon livello di istruzione, senza in questo tener conto di alcuni ragazzi/e con bisogni educativi specifici, quindi ricaduta pesante su tutto il livello e comparto scuola ed ovviamente ancora più pesante sui soggetti più fragili.
A questa, direi scontata considerazione, si aggiungono tutte le questioni legate alla pandemia ed al post pandemia, strutture fatiscenti, poco curate e classi piccole e sovraffollate, requisiti più volte denunciati dalla classe politica nel periodo della pandemia con risposte forti come: ma piu!!
Il netto aumento di situazioni più o meno conclamate di disagio psicologico, comportamenti aggressivi, depressioni, aumento di disturbi alimentari alcuni con conseguenza estremamente pesanti, come emerso anche dai dati choc di uno studio promosso da Fondazione Soleterre e dall’Unità di Ricerca sul Trauma dell’Università Cattolica di Milano, per indagare le conseguenze psicologiche della pandemia negli adolescenti. A quasi due anni dall’inizio dell’emergenza sanitaria, il 17,3% dei giovani intervistati pensa che sarebbe meglio morire oppure farsi del male: per il 2% la morte o l’autolesionismo è un pensiero quasi quotidiano. La dispersione scolastica un fenomeno in continuo aumento ovviamente maggiormente in quei territori dove vi sarebbe maggior bisogno di interventi mirati, laddove disagio sociale ed economico rimane un cancro difficile da estirpare. La costruzione di un ambiente maggiormente accogliente dove si riduca il rapporto tra insegnati ed alunni è senza dubbio un mezzo in più per prendersi cura di coloro che domani dovranno essere gruppo dirigente di questo paese. La politica ancora una volta con la mano destra elargisce belle parole con la mano sinistra evita di mettere mano ai temi che più di altri, anche in questo momento, dovrebbero essere prioritari. Ad onore del vero lo stesso PNRR prevedeva sostanzialmente che l’effetto della denatalità non doveva in alcun modo ricadere sul numero degli alunni per classe, nonché le parole del Ministro Bianchi quando definì la scuola come “affettuosa” contro le classi sovraffollate.
Le ricadute ovviamente si sentiranno e le sentiranno tutti quei territori periferici, tutte quelle persone periferiche che necessiterebbero di un’attenzione in più, invece gli riserveremo scarsa qualità del lavoro e scarsa azione educativa e di sostegno. La politica è fatta di scelte magari poco burocratiche ma che si caratterizzano per lungimiranza e coraggio, la scelta di tirare una riga su un numero senza considerare in che contesto siamo, quali siano i bisogni reali, le necessità di quel territorio, quale sia la condizione sociale ed economica di coloro che lo vivono pare un lavoro da ragionieri più che da politici. Ripensiamoci va finché siamo in tempo
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