Grande successo per la serata “Raccontando Arif… Percorsi di libertà artistica nell’oppresione.”, nella quale sono stati proiettati 2 cortometraggi dell’attore e regista Afgano Arif Takveen, accolto dalla Fondazione Solidarietà Caritas di Firenze. Il colpo d’occhio sulla platea, seduta sotto le stelle, era incredibile; c’era una varietà di culture, paesi di provenienza ed età difficilmente ripetibile, ma tutti erano egualmente stregati dalla magia del lavoro di Arif, che ha saputo, con naturalezza e poesia, prenderci per mano e trasportarci per la durata dei cortometraggi nel suo Afganistan, in quella terra martoriata e bellissima che lui ama visceralmente. Il primo cortometraggio “The virgin minarets”, sulla condizione della donna in Afganistan, ha affrontato questa difficile tematica in modo visionario e poetico, mostrando la realtà di oppressione che la donna vive ma dando speranza al sogno del cambiamento, in un’atmosfera catartica dove il sogno dell’emancipazione si palesa nella fuga per l’amore e per la libertà, vista e cercata stando dietro la rete di un burka. Le parole poetiche e metaforiche di Arif, tanto che la mediatrice culturale presente quella sera ha confessato l’estrema difficoltà nel rendere le sue parole nella nostra lingua, hanno raccontato la storia del suo paese, della guerra, delle sofferenze, della rocambolesca fuga dopo il ritorno dei Talebani, la commozione era visibile in tutti noi quando ha raccontato i due giorni deliranti in cui ha tentato di raggiungere l’aeroporto di Kabul per fuggire, la costante minaccia di morte, il vivere all’ombra nell’arbitrio e alla mercé completa di chi ti sta di fronte al posto di blocco, che può decidere di spararti, respingerti o farti passare a seconda dell’umore o dell’impressione del momento, indipendentemente dal fatto che i documenti da esibire fossero pienamente in regola per partire. Arif ci parla di un sogno spezzato, di una volontà di bellezza artistica, culturale e di un bisogno di normalità, che tanta parte del popolo Afgano sente fortemente, si respira nelle pieghe delle sue parole, una speranza mai sopita per un futuro di pace e libertà per sé e per il suo popolo, sogno che ora – dice Arif – ci è stato tolto, spezzato, perché nessun fiore può nascere dal terreno calpestato dai Talebani. Proprio questa speranza mi è sembrata il leitemotive che scorre sotto al secondo cortometraggio, intitolato “Shabnam”, dove si compenetrano la magnificenza dei paesaggi Afgani della regione di Bamyan, dove c’è una natura sconfinata e splendida e la pace regalata dalla vita domestica di una famiglia che vive tranquilla, immersa nella bellezza e nei ritmi umani della natura, senza costrizioni esterne, violenza, distruzione e oppressione. In questo risvolto ho letto la speranza, la raccomandazione e l’augurio che Arif fa a sé stesso, al popolo Afgano, ma anche a tutti noi.
Arif, quando la cultura è integrazione
Lo stupore delle persone, Arif è riuscito ad entrare nell’anima del pubblico
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