La regressione dei diritti civili, sembra una cifra caratteristica del nostro tempo e appare un fenomeno inarrestabile.
In due giorni sono successi due episodi che mi hanno fatto sobbalzare dalla sedia, due fatti di una gravità inaudita, apparente scollegati tra loro… ma forse non troppo. Mi riferisco alla sentenza della corte suprema americana che cancella il diritto all’aborto, lasciando libero ogni stato di decidere con una legge propria e l’epurazione da parte degli organizzatori del Gay Pride di Bologna dell’associazione dei poliziotti omosessuali.
La sentenza della corte suprema americana dà un colpo tremendo ai diritti civili e alla libertà di scelta delle donne su se stesse, sulle loro vite e sul proprio corpo. Al netto delle profonde incongruenze di pensiero interne ad una destra repubblicana che appoggia storicamente l’abolizione dell’aborto perché si definisce pro-life e poi fonda la sua identità politica sulla pena di morte, la vendita delle armi senza limitazioni e la promozione degli interessi degli stati uniti mediante la guerra; per le quali non è possibile trovare una spiegazione logica. Quello che è avvenuto può essere letto, pur nella sua tragicità e stupidità, in un modo razionale. L’America è uno dei paesi con il più alto tasso di disuguaglianze sociali, dove non sono previsti ammortizzatori sociali o welfare state che possano aiutare chi si trova in una situazione, anche momentanea, di difficoltà e dove l’ascensore sociale funziona, ma non tanto quanto ideologicamente si tende a rappresentare. Se infatti “tutti possono farcela”, sicuramente le condizioni di partenza non sono le stesse, tra il figlio della working class e quello del senatore della California; a parità di capacità, ho la sensazione che le loro “carriere” saranno molto diverse e richiederanno gradi di impegno e sacrificio differenti. Per quanto l’autopromozione dell’american way of life dica di sé, c’è un solido meccanismo di mantenimento dello status quo, che garantisce alla grande maggioranza dei figli dei ricchi e dei potenti di continuare a esserlo e assicura alla quasi totalità dei figli dei poveri di non dover fare lo sforzo di cambiare le proprie abitudini. Questa situazione, dove i problemi e le sofferenze di chi non può pagare non vengono presi in carico da nessuno, genera evidentemente uno stato di paura e insicurezza continua. Per placare questo stato di insicurezza, serve qualcosa che possa dare l’illusione della sicurezza e che sia accessibile ai più, da qui la corsa alle armi, che canettianamente, garantisce il potere di dare la morte stornandola da noi, la necessità del controllo sui corpi, da cui la legge sull’aborto, che attinge alla simbolica del potere ultimo e più grande, quella che Foucault chiama la Biopolitica, il potere di imporre la vita sottraendo la morte. Questo aspetto psicologico inconscio, mi pare aiutarci a dare un senso alle moltitudini che in America, ma non solo, si scagliano con veemenza contro i diritti degli altri, per imporre il loro credo o il loro punto di vista; ecco che alla luce di questo, il grande movimento anti-abortista dell’America profonda, mi pare acquisire un suo senso, seppur perverso.
Pare proprio che l’America stia racchiudendo in sè tutti e due i modelli dell’assoluto del potere, quello antico del dare la morte sottraendo la vita e quello, post-foucaultiano di imporre la vita sottraendo la morte. Inoltre, più prosaicamente, fin quando la mia parte, per quanto io possa essere l’ultimo dei disgraziati, ha la forza di imporre ai corpi altrui il proprio volere che è anche il mio, io di fatto determino il destino di altri e quindi non sono più l’ultimo.
Una lettura simile si può dare anche per la discriminazione subita dai poliziotti omosessuali, che ha del ridicolo, almeno in apparenza. La grande manifestazione dei diritti arcobaleno, che vorrebbe rappresentare la difesa dei diritti di tutti, esclude una categoria già di per sé vituperata e maltratta nell’ambiente lavorativo. L’ipocrisia discriminatoria dei paladini anti-discriminazione è totale, escludente, paradossale, iperbolica. Fare coming out in luoghi come esercito e le forze dell’ordine non è di per sé facile e sicuramente il clima nei luoghi di lavoro non è accogliente, ci sarebbero gli estremi per fare di loro un simbolo di lotta per i diritti degli omosessuali e invece discriminati e ostracizzati anche dai “loro”. Se però si pensa che la comunità arcobaleno ha subito in passato una fortissima violenza discriminatoria sia nelle leggi che nella vita sociale e benché le cose siano molto migliorate negli ultimi anni, ancora continuano a subire violenze fisiche, verbali e discriminazioni di ogni tipo, il gesto inizia ad assumere un senso. Ogni gruppo che si unisca intorno ad un’autocoscienza collettiva, che si stringa a questa in una lotta per ottenere il riconoscimento, nel momento in cui lo ottiene e si eleva nella gerarchia sociale, necessita di trovare un altro da sé, al suo interno, che prenda l’ultimo posto nella scala sociale appena lasciato da chi è salito. Fin quando ci sarà qualcuno sotto di me, non sarò più l’ultimo, sembra essere il ragionamento. La vittima raramente vuole tornare ad essere vittima, ma allora, per non ricadere nel vecchio ruolo, deve diventare carnefice, fino a quando potrò ostracizzare qualcuno, stornerò da me la discriminazione.
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