L’imperativo assoluto del mondo occidentale è consumare, ormai non si sente nemmeno più la necessità di spiegare perché consumare, di collegare un dato bisogno a un determinato prodotto; consumare è diventato una dogma. Ragioniamo allora sul concetto di consumo: letteralmente significa portare un oggetto al niente. Le merci, nelle società occidentali, non vengono prodotte perché soddisfano un bisogno, ma perché devono essere consumate. C’è un primo elemento di nichilismo in questo modo di concepire la merce. Del valore di uso della merce non frega niente a nessuno; l’unico scopo che ha la merce è quello di continuare ad aumentare il circolo vizioso della crescita. Più una merce si consuma in fretta, meglio è, così se ne produrranno di nuove. Quando si guasta frigorifero e chiamiamo il tecnico, ci dice che il pezzo di ricambio costa quanto il frigo; quindi è meglio cambiare tutto, ed è vero beninteso; ma è illogico e non casuale. I prezzi dei pezzi di ricambio vengono gonfiati dalle case produttrici per un preciso fine; costruire frigo nuovi e non pezzi di ricambi per i vecchi, perché su questi ultimi i margini di profitto sono molto più bassi. Ormai è cosa certa che le merci, specialmente quelle tecnologiche, vengano fabbricate con una “data di scadenza”, detta appunto obsolescenza programmata. Il nichilismo non è soltanto una teoria filosofica, portare le cose al niente nel più breve tempo possibile è lo scopo della produzione, sennò non si produrrebbe più niente e il meccanismo della crescita si bloccherebbe. Questo sistema di produzione asservito non ai bisogni degli uomini, che da molto tempo non sono più al centro della catena teleologica dell’azione umana, ma alla riproduzione costante e famelica della crescita, qualche piccolo problema lo crea. In primis, chiunque parli di crescita è un pazzo o un criminale, noi non possiamo più crescere. L’occidente esprime circa il 20% della popolazione mondiale e detiene circa l’80% delle risorse; il 60% della popolazione mondiale più povera, deve cavarsela con il 13% della ricchezza mondiale e questa tendenza alla disuguaglianza peggiora ogni anno. Inoltre la terra non è in grado di sostenere i ritmi di produzione, il consumo delle risorse e l’ inquinamento che lo stile di vita occidentale necessita. La società dei consumi, prevede l’insorgere di una società dei rifiuti, gemella ombra della prima. I materiali con cui costruiamo le merci e sosteniamo i processi di produzione vengono presi dall’ambiente, depauperando le risorse del nostro pianeta. I rifiuti che produciamo, pesano sul nostro ambiente; sono pochi i rifiuti che riusciamo a smaltire o riciclare a costo zero, ovvero che non pesino sul pianeta come agenti inquinanti o che non abbiano costi ambientali in termini di risorse energetiche per il processo di smaltimento. E’ una baggianata epocale il capitalismo green, tutti i prodotti ecofriendly sono una presa in giro, puro marketing, niente di più, niente di meno. Gunther Anders ha detto: “chi tratta il mondo come un mondo da buttar via, finirà per trattare l’umanità stessa come ‘umanità da buttar via”e dando una rapida occhiata al valore della vita nell’occidente, credo che non si sia sbagliato, purtroppo.
L’uomo ha creato la tecnica e poi l’economia, per per sostenere la tecnica, al fine di garantirsi sempre più la soddisfazione dei suoi bisogni; ironia della sorte, ha evocato un demone che, sfuggendo al suo controllo, lo ha soggiogato e gli ha negato proprio quello che cercava- la soddisfazione dei bisogni tramite i suoi manufatti. Tutto questo processo è ben sintetizzato dalla moda, che ne incarna una forma pura.
La moda è un perfetto esempio di nichilismo. Nel suo saggio Simmel parla di “tirannia della moda”, perché impone a ogni persona di adeguarsi ai suoi dettami stilistici, per poter avere un certo riconoscimento sociale. Già Nietzche rivendicava, come cifra di un pensiero ribelle, il suo essere non alla moda; manifestava con orgoglio il suo essere inattuale, nel senso di non essere sintonizzato con il tempo del proprio tempo, come valore di resistenza. Simmel dice che la moda è, di per sé, paradossale, perché “impone una identificazione tramite diversificazione”: Promette al singolo individuo uno stile inimitabile tramite l’adesione ad un certo canone, ma rivolge poi la stessa promessa a tutti gli individui della società, per cui si ha una diversificazione che a sua volta produce l’identificazione complessiva dentro un modello unico dominante. La moda quindi illude ogni persona di essere unica ed inimitabile, ma dietro a questa illusione, la riporta a riallinearsi sempre con il modello unico dominante. L’effetto reale, dietro la mistificazione ideologica che promuove il meccanismo della moda, è quello di garantire la necessità del ricambio costante delle merci, anche quando queste sono ancora pienamente funzionanti. Diciamo che, rispetto al meccanismo della produzione per il consumo e dell’obsolescenza programmata, la moda è la punta più avanzata del processo di nichilismo della merce. Con la moda, viene meno anche il bisogni di progettare una certa fragilità strutturale e una veloce deperibilità delle merci. La moda svincola totalmente l’usura delle merci dal loro deterioramento, è il mercato stesso che ha il più arbitrario potete di decretare che una data merce è “consumata e non più utilizzabile”, al di la delle sue reali condizione fisiche.
La moda svincola definitivamente la merce dalla sua materialità, la rende sempre possibile altrimenti, fa si che la merce possa accedere in ogni momento alla sua alterità, passando dall’essere al non-essere in base ai bisogni momentanei del mercato e dei processi produttivi.
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